Dietro la tenda del desiderio del Sexy Shop
Era un pomeriggio piatto di metà settimana, mi trovavo in una zona industriale di Roma, in attesa di un appuntamento che si sarebbe rivelato inutile. Avevo un’ora libera, nessuna voglia di tornare a casa. Poi vidi l’insegna in lontananza: “LUX Eros Boutique”.
Un sexy shop ben tenuto, vetri oscurati, insegna discreta, nessuno fuori, nessuno dentro. Solo luci soffuse, scaffali ordinati, odore di plastica e lubrificante alla vaniglia, entrai per curiosità. Mentre passavo tra i dildo giganti, i vibratori sagomati e i completini in latex lucido, la porta si aprì. Entrò lei. Non una ragazzina, ma una donna vera: curva nei fianchi, tacchi alti, pantaloni eleganti e giacca corta. La camminata era sicura, lo sguardo dritto. Non veniva per curiosare. Sapeva esattamente cosa cercava.
Scambiò due parole con la commessa, poi prese tra le mani un completo in pizzo nero trasparente: reggiseno senza coppe, slip a filo, calze autoreggenti. Un babydoll da troia da salotto.
«Posso provarlo?»
«Certo, la cabina è in fondo.»
E io, per puro caso, ero già lì, nella cabina accanto. Ci ero entrato per fingere di dare un’occhiata ai materiali. Ma quando sentii la tenda scorrere dietro di me, e il suono delle grucce appese, il cuore mi partì a mille. Il primo rumore fu la zip posteriore della giacca. Poi il fruscio dei pantaloni che scivolavano. E infine… la pelle nuda contro il tessuto.
Silenzio. Poi un respiro. Poi una risata trattenuta. «Mmm… guarda come mi sta, puttanella…» Parlava da sola. Si specchiava. E sapeva che forse qualcuno la sentiva.
Poi lo sentii:
il suono umido, ripetuto, lento.
Le dita sulla figa.
La stava toccando.
Piano. Senza fretta.
Come se lo facesse ogni volta che provava un completino.
Mi spinsi contro la parete. Mi sbottonai i jeans. Il mio cazzo era già duro, pulsante. Mi presi il glande tra le dita e iniziai a segarmi piano. Il suo respiro aumentava. Ogni tanto diceva:
«Ti piace come mi sta? Eh? Guardami… guardami mentre oh, sì…» Sapevo che non era per lei. Stava parlando a qualcuno. A me. A chiunque fosse lì, con le orecchie tese e la mano sul cazzo.
Continuava a toccarsi. La sentivo bagnata. Le dita affondavano. Il pizzo le sfregava la figa. Si massaggiava il clitoride con forza. E godeva come una vera troia. Senza paura. Senza pudore. Senza vergogna.
Io sbattevo la testa contro il muro, cercando di non gemere. Il mio cazzo era una bomba pronta a esplodere. Poi, il colpo di grazia. Un lamento lungo, viscerale. Uno squirt. Lo sentii picchiare sul pavimento. Come un fiotto. Come se stesse pisciando il piacere.
Venni subito dopo. Sborrai sul pavimento, sul bordo dello specchio, sul mio polso. Una scarica violenta, sporca, piena. E mentre mi pulivo alla buona con un fazzoletto preso dalla tasca, e sono uscito dal camerino.
Lei uscì dal camerino qualche secondo dopo di me. Aveva ancora il rossetto a posto, ma lo sguardo più acceso. Nessun imbarazzo. Solo una scintilla negli occhi. Mi passò accanto fingendo di nulla. Ma appena fu davanti alla porta, si voltò e mi disse piano:
«Non far finta di niente. So che mi hai sentita.
E io ti ho sentito venire.»
Mi gelai. Lei sorrise. Uscì dal negozio con passo sicuro. Io rimasi lì, esitante. Poi andai dietro. A distanza. Aveva parcheggiato poco distante, una macchina nera, pulita, con i vetri leggermente oscurati. Aprì lo sportello lato guida. Si fermò. Si voltò verso di me. «Sali. Tanto lo vuoi, no?»
Non serviva altro. Entrai. L’abitacolo era caldo. Odorava di profumo intenso e umido di pelle. Lei richiuse la porta e rimase in silenzio per qualche secondo. Poi sganciò la cintura della giacca. Lentamente. Sotto… niente. Solo quel completino di pizzo nero trasparente. Il reggiseno senza coppe mostrava due capezzoli rigidi come vetro. Lo slip sottile era ancora inzuppato. Si vedeva.
«Tu non mi tocchi. Guardi. E ti fai venire di nuovo.» Come succede nelle migliori cam voyeur, dove puoi solo guardare mentre lei gode per davvero. Comandava lei, e mi bastava così. Allungò il sedile, si aprì le gambe e alzò i piedi sul cruscotto. Spalancò la figa davanti a me. Era rasata, gonfia, brillante. Piena di voglia. Di voglia sporca. Cominciò a toccarsi. Prima un dito, poi due, dentro. La scena sembrava uscita da una cam dominazione soft, dove lei comanda e tu esegui. Li faceva ruotare, stringeva il clitoride, gemeva piano.
Mi guardava fisso. Occhi negli occhi. Voleva che vedessi tutto. Che mi sciogliessi. Io ero duro di nuovo. Avevo il cazzo fuori. Lo stringevo con la mano. Me lo segavo mentre lei si masturbava a mezzo metro da me. Non c’erano parole. Solo il suono del piacere. La sua figa bagnata. Il mio respiro strozzato.
«Guarda quanto mi sporco per te…» Poi prese le dita e se le mise in bocca. «Vuoi che mi venga addosso? O sul parabrezza?» Rideva, eccitata come una puttana consapevole. Io non risposi. Sborravo. Tutto. Sul sedile. Sui jeans. Su di lei.
Ero esausto. Lei rideva ancora, godendo del disastro. Poi si ricompose con calma. Si asciugò le dita, si sistemò il pizzo sulle cosce e disse con voce bassa, calda: «Ora scendi. Domani torno. Stesso sexy shop. E stavolta non ti lascio solo nella cabina accanto.» Mi lanciò un’ultima occhiata. Io aprii la portiera, ancora senza parole. Uscì una raffica d’aria fredda. Chiusi la portiera. Lei mise in moto, girò lentamente lo sguardo dritto davanti a sé…
…e sgommò via.
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