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Giulia la troia dell’Autogrill voleva che la guardassi

Non mi succede mai niente di interessante quando viaggio per lavoro. Sempre le stesse strade, gli stessi camionisti, gli stessi panini mollicci nelle vetrine. Ma quel pomeriggio, all’Autogrill tra Modena e Bologna, ho trovato qualcosa che mi ha fatto venire duro prima ancora di finire il caffè.

Ero al bagno, avevo appena pisciato. Mi stavo lavando le mani quando è uscita dal gabinetto delle donnne una gran figa: jeans attillatissimi, top corto senza reggiseno, tette grandi e naturali che ondeggiavano libere sotto la stoffa. Ci siamo incrociati un secondo. Mi ha guardato dritto negli occhi e poi ha abbassato lo sguardo sul mio pacco. Un lampo. Bastava quello. Poi è uscita. Io… l’ho seguita.

Si è fermata dietro l’Autogrill, nella zona scarico merci, dove non c’era nessuno. Mi sono nascosto dietro una colonna, curioso. Lei si è appoggiata al muro e ha tirato fuori il telefono. Ma non per chiamare. Ha acceso la fotocamera frontale, l’ha posizionata contro il muro e si è slacciata i jeans. Cazzo. Stava registrando.

Io ero dietro l’angolo, il cuore mi esplodeva. Ho sbirciato piano. E lì ho visto tutto. Giulia, avrei scoperto poi come si chiamava, aveva infilato una mano tra le cosce, le dita che scorrevano sotto il perizoma bagnato. Gemiti. Veri. Caldi. Sporchi.

Si è inginocchiata a terra, ha scostato completamente il tanga e ha cominciato a masturbarsi forte, con due dita nella figa e l’altra mano a stringersi le tette. Ogni tanto guardava la fotocamera, mordendosi le labbra, mentre il sedere le tremava. Io non ce la facevo più. Ho tirato fuori il cazzo, lì, nascosto, e ho cominciato a segarmi, sincronizzato con lei. Era come se mi vedesse, come se volesse essere guardata. Ogni movimento, ogni gemito era una provocazione.

Poi, improvvisamente, si è girata.
Non verso la fotocamera.
Verso di me.

«Ti piace guardarmi?» ha detto.
Io non ho risposto.
«Sei venuto fin qui solo per sborrarmi addosso con lo sguardo?»

E senza dire altro, ha aperto di più le gambe, le dita completamente affondate nella figa, sborrando davanti a me, bagnando il cemento sotto di sé con un orgasmo rumoroso, umido, sfrenato. Io sono venuto pochi secondi dopo, sparando il mio seme contro la parete fredda, mentre lei rideva piano, soddisfatta. Si è rivestita lentamente, mi ha guardato un’ultima volta e ha detto solo:
«Mi chiamo Giulia. Domani sono all’area di servizio dopo Parma. Se vuoi… puoi guardarmi ancora.»

dopo quello che è successo ieri, non riuscivo a pensare ad altro.
Il suo sguardo sporco. La sua figa bagnata sul cemento. Il mio cazzo duro mentre mi guardava venire come un cane in calore. Aveva detto “domani sono all’area di servizio dopo Parma”. Ed eccomi lì. In anticipo. Con il cuore che batte forte, lo stomaco stretto, il cazzo già in tensione.

Quando la vedo arrivare, capisco subito che oggi non si accontenterà di essere guardata. Giulia scende da una macchina grigia, finge di fare benzina. Indossa un vestito estivo leggero, senza reggiseno. Il seno libero, perfetto, si muove a ogni passo, mi guarda, sorride. Poi si dirige sul retro dell’area di sosta, come se nulla fosse. La seguo. Il cuore mi esplode nel petto.

Appena siamo fuori dalla vista di tutti, si gira e mi dice piano:
«Hai voglia di più oggi? Perché io sì.»
Senza darmi il tempo di rispondere, si alza il vestito, niente slip, la figa rasata, lucida, gonfia, pronta. «Non voglio solo che mi guardi» sussurra.

«Voglio sentire il tuo cazzo dentro. Ma non smettere di guardarmi. Mai.»

Mi abbasso la zip, il cazzo esce fuori duro come una pietra. Giulia si gira, si piega in avanti contro il muro e si spalanca da sola. Entro piano, ma lei si muove come una puttana in calore. La prendo da dietro, forte, mentre con una mano si stringe le tette e con l’altra si riprende con il telefono acceso. Ogni spinta è più profonda, ogni colpo fa schioccare la sua pelle nuda contro la mia. Non è sesso. È pornografia viva.

«Guarda… guardami mentre mi vieni dentro. Guardami mentre mi sbatti come una troia qualunque» ansima.

La tengo per i fianchi, la scopo come se non ci fosse un domani, mentre lei si tocca il clitoride e si bagna ancora. Quando viene, urla. Un suono sporco, carnale, che fa eco tra i cassonetti e le pareti di cemento. Io sbavo dalla voglia di esplodere dentro di lei. E lo faccio. Glielo sparo tutto in fondo, forte, mentre lei resta piegata, il corpo tremante, la figa che mi stringe come se non volesse lasciarmi più. Quando mi ritiro, il mio sperma cola lungo le sue cosce.

Lei si gira, si sistema il vestito e sussurra:
«Stai attento. La prossima volta… potrei voler essere scopata mentre qualcuno ci guarda.» E se ne va. Senza mutande. Con il mio sperma tra le gambe.

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