Una vacanza a Venezia molto piacevole
Era la mia prima volta a Venezia in estate. L’aria profumava di acqua salmastra e di sole rovente, i vicoli stretti vibravano di voci, gondolieri e passi affrettati. Io mi muovevo lenta, con un unico pensiero fisso nella testa.
Farmi guardare.
Senza vergogna.
Senza freni.
Mi chiamo Valentina, ho 35 anni, e da sempre mi eccita sapere che sotto i vestiti non c’è nulla. Niente reggiseno a coprire i miei seni. Nessuna mutandina a contenere la mia figa. Solo la pelle nuda, calda, umida, pronta a farsi notare.
Quella mattina a Venezia mi ero svegliata sudata, con le lenzuola appiccicate alle cosce, a Venezia c’è un’umidità pazzesca, un caldo che me piace, quel sudore in tutto il corpo. Avevo sognato mani sconosciute che mi aprivano, occhi maschili che mi divoravano con lo sguardo, lingue che mi entravano dentro con avidità.
Mi ero svegliata bagnata. E lo ero ancora quando infilai quel vestitino bianco di lino, leggero come una carezza. Me lo abbottonai piano. Le dita tremavano un po’ mentre sistemavo il tessuto sulle curve. Sapevo che ogni colpo di vento lo avrebbe alzato. E sotto… c’ero solo io. Proprio come le ragazze delle camgirl italiane in mostra, che amano farsi vedere nude per te.
Uscita dall’albergo, camminai verso il pontile. Il sole picchiava, l’aria era densa, e la mia figa pulsava a ogni passo. Ogni tanto mi sembrava che qualche uomo, distratto dalla moglie o dalla guida turistica, avesse lo sguardo basso. E io speravo che vedesse. Che immaginasse. Che capisse.
Raggiunsi il taxi acqueo privato che avevo prenotato per andare a Murano.
Un motoscafo lucido, con sedili in pelle chiara e un giovane marinaio che mi aiutò a salire. Aveva poco più di 25 anni, capelli neri e braccia nervose.
Il motoscafo partì. Mi sedetti sul divanetto posteriore, allungai le gambe e mi godetti la brezza che sollevava il vestito. Il ragazzo era rimasto al timone, ma ogni tanto lo sentivo voltarsi, e vedevo che mi guardava dallo specchietto.
Forse aveva visto. Forse aveva notato che sotto quel lino bianco non c’era nulla a coprire la mia figa rasata, già lucida di desiderio.
Un’onda più alta fece sobbalzare la barca. Le gambe si aprirono per istinto.
Il tessuto si sollevò. E io non feci nulla per rimetterlo a posto. Lo lasciai lì, appoggiato sulle cosce, come un sipario che si apre appena. Abbastanza per far intravedere le labbra umide della mia figa. Abbastanza per vedere la pupilla del ragazzo dilatarsi quando si voltò di nuovo.
Mi morsi il labbro. Le mani scesero lentamente sul grembo. Un dito accarezzò il bordo interno della coscia. Poi un altro, più audace, sfiorò la fessura, sentendo quanto ero bagnata. Mi stavo toccando davanti a lui, ero proprio eccitata al pensiero che mi guardasse.
Ero una troia senza vergogna. E mi eccitava da impazzire. Il rumore del motore copriva i miei sospiri. Il mare vibrava sotto la barca, e io vibravo sopra il sedile. Infilai due dita tra le labbra gonfie della figa. Affondai piano. Poi più forte. Le gambe tremavano. Le cosce battevano sul cuoio.
Il ragazzo adesso non si nascondeva più. Si era girato del tutto. Gli occhi fissi tra le mie gambe, la bocca socchiusa. Aveva una mano sulla leva del gas e una chiaramente nascosta sotto la vita. Si stava segando anche lui. Io lo guardavo. Lui guardava me. E il mare era complice. «Guarda bene» dissi, senza staccare lo sguardo. «Questa è per te.»
E venni. Forte. Un orgasmo che mi scosse da dentro, che mi fece urlare, che mi bagnò la pelle del sedile. Sentii i miei succhi colare sulle cosce, caldi e appiccicosi. Il ragazzo venne subito dopo. Lo vidi tremare, la spalla che si muoveva sotto la maglietta, la faccia tirata dal piacere. Poi mi sorrise, imbarazzato e soddisfatto.
Mi ricomposi, lenta. Abbassai il vestito. Non avevo più bisogno di parole.
Il taxi acqueo si fermò al pontile di Murano, io scesi e gli dissi “Grazie”, lui con un sorriso mi disse è stato un piacere.
Il giorno dopo decisi di rimanere a Venezia e non di andare alle isole, Mi ero svegliata con la figa pronta a masturbarmi, desiderosa di essere di nuovo guardata. Non avevo ancora smesso di essere bagnata. E non volevo smettere.
Mi specchiai nuda davanti alla finestra dell’hotel. Il sole illuminava ogni curva del mio corpo. Sapevo che sotto, in strada, qualcuno avrebbe potuto vedermi. E l’idea mi eccitava. Scelsi un vestito leggero, rosso, con spalline sottili e la gonna morbida che arrivava a metà coscia. Lo infilai senza mutandine. Niente reggiseno. Solo la mia pelle, profumata e pronta a farsi vedere.
“Oggi sarai una troia vera,” mi dissi allo specchio. “Non ti fermerai davanti a nessuno.” Scesi dall’hotel, la città era piena di turisti, gondole e vaporetti che si incrociavano sui canali. Camminai per ore tra calli strette e ponti, con il cuore che batteva ogni volta che il vento sollevava l’orlo della gonna.
Sapevo che gli sguardi c’erano. Sapevo che qualcuno aveva visto.
E ogni occhiata mi faceva sentire più bagnata, più viva, più troia.
Arrivai vicino al Ponte di Rialto. Poi decisi di fermarmi. Scelsi un punto appartato, sulla riva del Canal Grande, dove un muretto di pietra faceva da sedile naturale. Turisti passavano pochi metri dietro di me.
Gondolieri remavano piano. Io mi sedetti con calma, allargando appena le gambe. La gonna scivolò sul lato, lasciando intravedere la pelle nuda delle cosce.
Un colpo di vento fece il resto. Il tessuto si sollevò per un attimo, mostrando la figa rasata. E io non feci nulla per sistemarlo. Presi il telefono, fingendo di leggere un messaggio. Ma la mano libera scivolò sul ginocchio. Poi sulla coscia. E più in alto ancora. Le dita arrivarono alla fessura. Era calda, viscosa, pulsante. Il clitoride duro come una pietra.
Mi morsi il labbro per non gemere. Ma la foga cresceva. Due dita dentro.
Poi tre. La figa faceva un rumore umido, sporco. E io continuavo a scoparmi da sola, lì, davanti a tutti. Un ragazzo si fermò dietro di me, appoggiato a una colonna. Non si muoveva. Non parlava. Guardava.
E io lo vedevo nel riflesso del telefono. Si stava toccando anche lui.
«Guarda bene, bastardo» pensai. «Questa figa è tutta per te.»Venni.
Forte. Un orgasmo lungo, pulsante, che mi fece tremare le gambe e colare i succhi sulla pietra calda del Canal Grande. Sapevo che ormai non era più un segreto. E questo mi faceva impazzire.
Mi sistemai il vestito lentamente, con le dita ancora bagnate.
Poi mi voltai verso il ragazzo. Gli sorrisi, e con fare molto garbato mi sono allontanata ancora con le gocce di voglia che mi colavano, rientrai in hotel ed il girono seguente presi il treno e torani a casa.
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